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L'associazione zen bodai dojo è membro dell' UBI, Unione Buddhista Italiana

 
Che cos’è un kusen?

Ku significa bocca, sen, insegnamento. Il kusen è l’insegnamento orale dato dal maestro o dal monaco anziano durante la meditazione.
Kusen
 
16 dicembre 2001
Giornata di zazen al Dojo Sanrin di Fossano
diretta dal Maestro Roland Yuno Rech



Domenica 16 dicembre 2001, kusen delle 8:15

Durante zazen, concentratevi sulla vostra postura completamente. Completamente significa ponendovi tutta la vostra energia e attenzione, non a metà, praticando zazen come se si trattasse di vita o di morte, come il Buddha Shakyamuni quando si è seduto in zazen sotto l'albero della bodhi, con il voto di non rialzarsi sinché non avesse realizzato il risveglio. E' importante avere questa grande decisione, in modo da non sciupare ogni istante della pratica, senza continuare a funzionare con lo spirito ordinario che rumina le sue preoccupazioni, che sfugge costantemente al qui ed ora. Una giornata di zazen è molto breve, non sciupate l'istante presente, inclinate bene il bacino in avanti, tendete le reni, estendete la colonna vertebrale, la nuca, rilasciate le tensioni della schiena, delle spalle e rientrate il mento. Ricercate il tono giusto, equilibrato, del vostro corpo, né troppo teso né troppo rilassato. I punti nei quali bisogna portare tutta la propria energia sono la zona dei reni e la nuca che dev'essere ben estesa, mentre le spalle e l'addome devono essere rilassati. L'equilibrio tra tensione e rilassamento è fondamentale. La tensione che diamo a quest'equilibrio consente allo spirito di rimanere completamente presente, abbandonando tutte le fabbricazioni mentali. In zazen smettiamo di alimentare le nostre cogitazioni mentali, lasciando emergere l'intuizione giusta, la visione giusta, non oscurata dalle nostre idee preconcette, dai nostri pregiudizi. Si tratta di ritornare all'esperienza immediata di ciò che è e di ciò che non è. Nei sutra è detto che la notte in cui ha realizzato il risveglio, il Buddha ha compreso le quattro nobili verità, le dodici cause interdipendenti, la via del karma, ed è questo che ha insegnato per quarantacinque anni. Da dove è sorta questa comprensione? E' là che dobbiamo ritornare durante zazen, evitando una comprensione dogmatica dell'insegnamento, per ritornare alla sua fonte autentica. Nel Sandokai è detto: "Lo spirito del gran saggio dell'India si è trasmesso intimamente e direttamente, segretamente, dall'ovest all'est". E' quello che nello Zen chiamiamo la trasmissione i shin den shin, dal mio spirito al tuo spirito, dal mio cuore al tuo cuore. Questa trasmissione non è qualcosa che possiamo afferrare e dare a qualcun altro, non è un oggetto, è l'esperienza intima realizzata in zazen, l'esperienza di shin, l'autentico spirito, ciò che è il cuore della nostra vita, l'essenza più intima della nostra esistenza, che in realtà non è nostra, che possiamo sperimentare solo da noi stessi e che non ci appartiene in proprio. E' ciò che abbiamo di più intimo e che condividiamo nel modo più profondo con tutti gli esseri. In questo senso la trasmissione dello spirito del Buddha è quella comunione intima realizzata nel dojo, lo spirito inafferrabile, lo spirito illimitato, che si manifesta quando smettiamo di attaccarci ai nostri pensieri, quando smettiamo di identificarci col nostro karma, la nostra storia, i nostri condizionamenti, i nostri desideri, i nostri odi, quando smettiamo di intrattenerci con la nostra ignoranza, quando smettiamo di difendere noi stessi. In realtà non ci sono molte cose da fare, si tratta piuttosto di smettere di fare qualche cosa, avere semplicemente fiducia nel fatto che siamo da sempre Buddha ma che non lo vediamo, non lo sperimentiamo, perché passiamo il nostro tempo ad oscurare noi stessi per non vedere.

Domenica 16 dicembre 2001, kusen delle 11:00

In questo dojo, qui ed ora sono riunite numerose persone molto differenti tra loro, provenienti da molti paesi, da diverse culture, alcuni giovani, altri più anziani. Alcuni provengono dal nord dell'Europa, altri dal sud dell'Italia, ma durante zazen ognuno ha bonno diversi che appaiono. Il karma di ognuno è differente, ma il nostro modo di praticare la Via è lo stesso, la stessa postura, lo stesso modo di andare al fondo di ogni espirazione, in modo da lasciare passare i pensieri. Sentiamo tutti gli stessi rumori e sicuramente ognuno di noi reagisce interiormente in modo diverso, alcuni con pazienza, altri forse con irritazione, ma in fin dei conti la nostra pratica è di lasciar passare, non solo le percezioni, ma anche le nostre reazioni ad esse. Ciascuno di noi ha illusioni diverse da abbandonare, tutti ne possiamo percepire la vacuità, quali che siano. A questo proposito il Maestro Sekito diceva: "Nelle personalità umane le sensazioni e le intelligenze differiscono, ma nella Via il sud e il nord non esistono". Quando Konin incontrò Eno per la prima volta, gli chiese: "Da dove vieni? ", "Vengo dal sud", rispose. Allora Konin gli disse: "Le persone del sud non hanno la natura di Buddha". Eno rispose: "Possono esserci differenze tra le persone del sud e del nord, ma nella Via non c'è sud e non c'è nord". A partire da quel momento Konin comprese di aver incontrato il suo successore. Eno aveva l'intuizione, la dimensione dell'esistenza che è al di là di ogni differenza. Disgraziatamente in seguito ci furono una scuola del nord e una del sud, i successori di Eno si opposero tra di loro, ogni gruppo credendo di detenere la verità. Pratica graduale al nord, pratica immediata al sud, ma nella Via il graduale e il subitaneo non esistono, o piuttosto esistono ma sono complementari. Ognuno ha un karma differente, per esempio alcuni sono più intuitivi, comprendono rapidamente la vacuità, hanno bisogno di fare meno sforzi, ma talvolta il fatto di capire troppo velocemente lascia che si stabilisca una comprensione superficiale. E' possibile comprendere che tutto è vacuità, ma dimenticarlo nella vita quotidiana, agendo come se il proprio ego fosse la cosa più importante del mondo, rimanendo attaccati ai nostri possessi, alle nostre opinioni, soprattutto all'opinione che ci facciamo di noi. Altri, meno intuitivi, possiedono una maggiore energia per continuare a fare degli sforzi e a praticare regolarmente. Ad essi conviene bene la pratica graduale, ma se ci si accontenta di praticare gradualmente con molti sforzi, questo sforzo diventa qualche cosa di troppo, non possiamo diventare veramente liberi. Del resto, se crediamo di avere compreso e non facciamo sforzi, non possiamo mettere in pratica ciò che crediamo di aver compreso, e la comprensione non è completa, profonda. In realtà occorre armonizzare i due aspetti, pratica graduale e risveglio immediato, non è il caso di opporre i due metodi. Solo coloro che vogliono creare la propria scuola e diventare dei capi, ritengono che il proprio metodo sia migliore degli altri. In realtà dobbiamo studiare e praticare tutti gli insegnamenti del Buddha, praticare zazen con concentrazione, mettere tutta la nostra energia nella postura, tutta l'attenzione nella respirazione, e attraverso questa concentrazione, attraversare tutte le esperienze senza attaccarci ad esse. E' necessario abbandonare ogni oggetto armonizzandoci immediatamente con la realtà, che è senza sostanza, impossibile da ottenere. Praticando in questo modo ogni zazen diventa la pratica del risveglio, non è una questione di durata ma di qualità. Questa qualità varia in base agli individui: più la realizzazione di zazen è profonda, più i suoi effetti si fanno sentire durevolmente nella vita quotidiana, più possiamo sentirci liberi dai nostri bonno nella vita di ogni giorno. Se invece i bonno ritornano immediatamente all'uscita da zazen, ciò significa che la pratica non era molto profonda, allora abbiamo bisogno non solo della pratica graduale, abbiamo bisogno di praticare le paramita, con uno sforzo maggiore. Praticare i precetti, praticare il dono, la pazienza, lo sforzo, la concentrazione e sviluppare la propria saggezza, la comprensione di sé. In ogni caso i due aspetti sono necessari e sono sempre stati insegnati nella Via del Buddha, da Shakyamuni sino a Dogen, sino al Maestro Deshimaru, sino a noi. Non dobbiamo dimenticarli, ma al contrario praticarli attentamente al di là delle differenze tra sud e nord, tra immediato e graduale.

Domenica 16 dicembre 2001, kusen delle 14:00

Durante zazen non dormite, tornate costantemente alla concentrazione sulla postura e sulla respirazione. Se avete la tendenza ad addormentarvi, concentratevi di più sull'inspirazione, ponete la vostra attenzione tra le sopracciglia; se invece avete lo spirito troppo agitato, troppi pensieri, concentratevi di più sull'espirazione, mettete tutta la vostra energia sotto l'ombelico e la vostra attenzione sul contatto dei pollici. Soprattutto non ristagnate su alcunché, né sui pensieri, né sul torpore, ritornate costantemente alla fonte del vostro spirito, al punto che precede il sorgere di tutti i pensieri e di tutte le sensazioni. Per tornate rapidamente a questa fonte, bisogna essere vigilanti, osservare come lo spirito si lascia trascinare, e ritornare alla concentrazione sulla postura, sull'espirazione. Quando, attraverso questa pratica di concentrazione, giungiamo a lasciar passare rapidamente tutti i pensieri, possiamo realizzare concretamente come siano vacuità, come non abbiano nulla di fisso, nulla di sostanziale e allora sarà più facile abbandonarli. Il Maestro Sekito diceva: "La fonte spirituale è pura e brillante, solo gli affluenti limacciosi scorrono nell'oscurità."

Gli affluenti limacciosi sono i pensieri che ci trascinano durante zazen, la fonte spirituale non è mai lontana, è sempre presente, sempre pura e brillante, possiamo tornare ad essa ad ogni istante abbandonando l'attaccamento a tutte le nostre costruzioni mentali. In realtà la fonte pura e gli affluenti limacciosi non sono separati; la fonte pura esiste solo in rapporto agli affluenti limacciosi, allo stesso modo in cui la luce esiste solo in rapporto all'oscurità, il satori in rapporto alle illusioni. In genere nella nostra vita quotidiana siamo immersi solo dal lato delle illusioni e dell'oscurità. Praticare una sesshin o una giornata di zazen è avere l'occasione di praticare l'altro lato, l'altro aspetto.

Anche se la fonte spirituale è sempre presente, se non pratichiamo rimane nascosta; la pratica di zazen non la produce, permette semplicemente di ritornare ad essa, di ritornare a ciò che è da sempre là, ma che non vediamo.

Non crediate che questa fonte spirituale sia un luogo speciale, non è qualche cosa, quando ci concentriamo sull'espirazione, alla fine di quella, quando abbandoniamo ogni occupazione, ogni pensiero, anche l'intenzione stessa di concentrarci, dove sono i nostri pensieri, le nostre intenzioni? Sono semplicemente ritornati alla fonte, alla vacuità, ku, da cui tutti i fenomeni provengono. Non è un luogo speciale, semplicemente l'autentica natura di tutte le esistenze, non separata da nulla, mai allontanata. Così il ritorno può farsi in un istante, come voltare la testa e cambiare sguardo.

Domenica 16 dicembre 2001, mondo delle 15:15

- Quando parli di libertà ti riferisci alla capacità di stare con quello che c'è nel momento presente, senza dualismo e illusioni? Ti pongo questa domanda perché ho un po' di confusione rispetto a questo.

- Con quello che è, stare con ciò che è piuttosto… Essere liberi significa non essere trascinati dai propri bonno, è questo ciò che voglio dire. Non essere trascinati dai desideri, né dalle proprie avversioni, non restare prigionieri della propria ignoranza. Siamo sempre liberi in rapporto a qualche cosa: non c'è libertà in senso assoluto, non c'è libertà senza condizionamento, siamo liberi in rapporto a qualche cosa, ai condizionamenti.

La libertà si definisce in senso negativo poiché è un'assenza, l'assenza di costrizioni. Ad esempio possiamo avere dei desideri sessuali, essere liberi rispetto ad essi significa non essere costretti, obbligati a trovare immediatamente un partner per soddisfare i propri desideri. Questo non significa essere privi di desideri, ma avere la libertà interiore di sapere cosa fare dei propri desideri, di poter quindi decidere se è giusto soddisfare questo desiderio oppure se è meglio lasciar passare. Ad esempio se qui ed ora il modo di soddisfare questo desiderio può creare sofferenza, seducendo qualcuno che non amiamo veramente, facendogli credere di essere innamorati per ottenere questa soddisfazione e poi gettarlo via, in questo caso creiamo sofferenza. Essere liberi in rapporto ai propri desideri significa decidere se poterli soddisfare o non soddisfare in funzione della chiarezza dello spirito, cioè la comprensione del karma, della sofferenza o della non sofferenza. Evidentemente non possiamo mai essere sicuri del risultato a causa dell'interdipendenza, nell'esercizio della libertà c'è sempre un rischio, perché non possiamo dominare completamente l'interdipendenza, non siamo onniscienti, solo un Buddha perfetto lo è, in altre parole solo un Buddha perfetto è veramente libero e noi siamo sottomessi ad ogni sorta d'interdipendenza, di condizioni, di cui non dominiamo tutti gli aspetti. Così ci sono gradi più o meno elevati di libertà, più si sviluppano la saggezza, la comprensione, la lucidità più si è liberi; più si sviluppa la concentrazione più possiamo essere liberi, perché non basta capire, ma bisogna anche avere la capacità di lasciare passare. Ad esempio se capiamo che un'intenzione è negativa, bisogna avere la lucidità di vederla come tale, ma anche questo non è sufficiente, se non abbiamo la capacita di evitare di muoverci, di lasciar passare, allora, anche se abbiamo compreso, commetteremo un errore. La concentrazione e l'osservazione, insieme alla saggezza, sono strumenti di libertà: sono necessari entrambi gli aspetti. Questo è l'aspetto della libertà in rapporto ai condizionamenti, in un certo senso libertà in negativo, vale a dire per l'assenza di costrizioni, ma c'è un aspetto buono nella libertà che consiste nel vivere in armonia con la nostra autentica natura, che vuol dire non seguire i propri desideri, anche se per la maggior parte delle persone libertà significa proprio seguire i propri desideri: "Sono libero, allora faccio ciò che mi pare, se ho voglia di fare un viaggio parto, senza impedimenti". Questa è la libertà nel senso materialista del termine, ma in genere questo tipo di libertà ci incatena sempre di più, perché implica una nostra dipendenza dagli oggetti dei nostri desideri e quindi se c'è un qualsiasi ostacolo andiamo in collera, diventiamo violenti, la maggior parte della violenza nel mondo è legata proprio a questo, non poter ottenere ciò che si vuole, per cui si desidera distruggere.

La libertà in senso buono, dal punto di vista dello zen, è vivere in armonia e attualizzare la vera natura della nostra esistenza, quindi poter realizzare il senso della nostra vita, è questa la vera libertà. Se realizziamo ciò allora siamo veramente liberi, ma finché restiamo prigionieri delle nostre illusioni non possiamo dire di essere veramente liberi, è una libertà condizionale.

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- Vorrei chiederti cosa significa praticare la Via con lo spirito giusto, cosa implica…

- Perché mi fai questa domanda?

- E' una domanda personale, non so se sto praticando con spirito giusto…

- Credo che praticare con spirito giusto sia praticare in modo tale che la pratica diventi istantaneamente liberazione, e del resto possiamo sentire se lo spirito è giusto, perché l'effetto è immediato, soprattutto se lo spirito non è giusto lo possiamo capire facilmente, se la nostra pratica crea degli attaccamenti, della sofferenza, se siamo nervosi, se non siamo nella giusta condizione. Se invece l'effetto di praticare rende il nostro spirito completamente libero, gioioso, allora quello è lo spirito giusto. Qual è la radice di questo spirito giusto? E' proprio praticare in armonia con la nostra natura autentica, praticare con spirito mushotoku, l'alfa e l'omega della pratica giusta, l'essenziale, praticare con uno spirito che è già libero da ogni oggetto, che ha compiuto una rivoluzione spirituale. Se pratichiamo zazen con la stessa avidità che utilizziamo nella vita ordinaria, allora la pratica ha uno scopo e siamo frustrati se non lo otteniamo, quindi diventa una pratica nervosa e siamo insoddisfatti proprio perché non è la pratica giusta, e di conseguenza tutto diventa un circolo vizioso. Penso che l'educazione zen debba proprio mirare a questo, evitare di mettersi in un vicolo cieco portando lo spirito avido nella pratica.

- Appunto, io dicevo cosa implica nel Sangha, implica qualcosa nel Sangha… nel senso che bisogna…

- Nel Sangha implica ad esempio non avere una pratica da consumatori, ma avere una pratica generosa, cioè non venire a praticare quando ci fa comodo, ma praticare regolarmente, con uno spirito di samu, di servizio, aiutando gli altri a praticare, condividendo la pratica, senza egoismo. Se veniamo a praticare come praticassimo una tecnica di benessere, pensando che ci farà bene, allora si tratta di una pratica di consumo, ma se pratichiamo con lo spirito del bodhisattva, con uno spirito di compassione, e ci mettiamo al servizio degli altri, allora si evita questo ostacolo, si evita una pratica egoistica, illusoria. Implica questo, l'aver voglia di donare, un po' di tempo, un po' di energia per far funzionare il dojo, per esempio, non vuol dire fare solo questo e sacrificare la propria famiglia, i propri amici, si tratta evidentemente di trovare l'equilibrio, fate ciò che potete, ma sempre un passo in più in rapporto al vostro egoismo, dico a voi, ma per me è la stessa cosa…

- Penso di essere già al 70%…OK grazie.

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- Nel posto in cui lavoro sono la responsabile, siamo solo in dieci ma io sono la coordinatrice, non succede mai che i miei colleghi esprimano una valutazione relativa a quello che faccio, né per dire hai fatto bene, né per dire il contrario. Così mi sento molto sola quando cerco di capire se sto facendo bene e mi accorgo che la mia mente oscilla tra due domande…

- Anche il tuo corpo, il tuo corpo adesso!

- Sono troppo direttiva, accentratrice, oppure cercando sempre il parere di tutti favorisco troppo l'esercizio del libero arbitrio di ciascuno e rischio di perdere il controllo della situazione? Hai dei consigli?

- Credo che l'esercizio di una responsabilità implichi proprio ciò, l'equilibrio tra i due… Credo che i tuoi colleghi facciano molto bene a non dirti nulla, è importante che tu osservi il tuo spirito che vuole ottenere una rassicurazione, un riconoscimento. Nessun commento da parte loro implica che tu devi essere più intuitiva, abbandonare il bisogno di avere delle conferme, fai solo quello che ti sembra giusto senza aspettarti nulla, senza attendere risultati. In ogni caso se non saranno contenti te lo diranno. Detto questo, c'è forse un problema di comunicazione, bisogna creare le condizioni perché le persone possano esprimersi, ad esempio potresti organizzare una riunione ogni mese, e durante questa riunione mettere da parte la tua posizione di responsabile, metterti al livello degli altri e invitare ciascuno ad esprimersi, ma è delicato, perché le persone non dimenticheranno mai che sei tu la responsabile, ma vale la pena di provare, perché è giusto dare la possibilità alla gente di esprimersi. Certi hanno paura, ma allora bisogna capire il perché…

Domenica 16 dicembre 2001, kusen delle 16:00

Nella vita quotidiana c'è molto rumore, quando facciamo zazen possiamo prendere coscienza di quanto la città sia rumorosa, e a quel punto può succedere che ci attacchiamo al silenzio, in quel caso non possiamo essere autenticamente liberi, né in pace, in zazen.

Non facendo più differenze tra il silenzio ed il rumore tutto diventa silenzioso, poiché il rumore non è così legato alle vibrazioni del mondo esterno, il rumore è nel nostro spirito, nella nostra testa; se smettiamo di creare opposizioni, allora tutto istantaneamente diventa tranquillo.

A questo proposito il Maestro Sekito diceva: "Attaccarsi ai fenomeni è causa di illusione, ma seguire e incontrare solo l'essenza non rappresenta l'autentico satori". Prima ho parlato di ritornare alla fonte pura, di smettere di seguire gli affluenti limacciosi, ma i due non sono opposti, se creiamo opposizioni tra la fonte e gli affluenti, non possiamo veramente a ritornare alla fonte, poiché il nostro spirito rimane prigioniero dell'opposizione, della dualità. Prima qualcuno mi ricordava che la sofferenza, l'impermanenza del mondo è per lui fonte d'angoscia. E' proprio questo il motivo per cui molte persone cercano qualcosa di fisso, di stabile al quale aggrapparsi, ma poiché non possono trovarlo, sono sempre più inquieti, agitati.

La Via dello zen consiste nell'accettare l'impermanenza come impermanenza, come l'ordine cosmico, l'ordine naturale delle cose, smettendo di opporsi, senza immaginare un nirvana opposto al samsara, semplicemente accettando la realtà così com'è. Allora tutti i nostri veleni possono dissolversi istantaneamente e il nirvana realizzarsi senza cercarlo, come la luce del giorno appare quando apriamo gli occhi.

Traduzione: Maresa Di Noto
Annotazione: Bruno Brugnoli e Marco Viale
Raccolta e trascrizione: Marco Viale